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Channel: Commenti a: Viviamo in un computer
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Di: mORA

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In realtà qui si sta dando per scontata una cosa che non lo è e non deve esserlo: il fatto che i nostri dati debbano stare sul cloud.
I nostri dati debbono stare presso di noi, non sul cloud, perché si possano definire nostri di fatto.
Questa libidine del cloud e questa contemporanea rinuncia a possedere (oltre ad avere la proprietà, spesso inesigibile) i dati sarebbe la vera guerra da combattere.
In un momento in cui lo storage ha un costo irrisorio, e ce l’ha marginalmente irrisorio, per ognuno di noi, il cloud è il cavallo di Troia con cui le società cercano di monetizzare i nostri dati.
Può essere comodo avere la disponibilità di questi dati in mobilità, ma non è necessario che tutti i nostri dati siano sempre disponibili.

La verità è che molti non hanno alcuna cognizione del dove siano i dati, ed in cosa differiscano le applicazioni ed i dati che producono o vi vengano introdotti; il social, per dirne una, per molti sono Internet e per molti sono posti fichi, gratuiti, in cui inserire cavoli propri.
Quel che ne segue è che, da contratto, si ha una vista sui propri dati, ma se ne consente l’uso da parte di chi ci fornisce l’infrastruttura per ogni cosa.
Qualcuno li gira ai governi, qualcuno agli inserzionisti, qualcuno non li dà a nessuno, ma li elabora e ne tira fuori profili. Che vende o monetizza.

Ecco: NON è scontato che debba essere così.

* * *

Segnatamente, gli stessi che puoi trovare con l’aspirapolvere attaccato al pisello e le orecchie di peluche su Facebook sono poi magari gli stessi che alzano un casino quando firmano per i moduli IVASS per la personalizzazione della polizza ovvero alla loro rinuncia.

* * *

Immateriale è ogni file; non è detto che debba essere immateriale anche il supporto.

Non si può prescindere dall’acculturamento dei fruitori di questi servizi, e non è solo un problema identitario; tutto dev’essere imparato per essere utilizzato, non si capisce perché in informatica questo non debba valere.

Il che è sempre più vero ed urgente con la presa di piede dell’IOT, che a fronte di vantaggi marginali o risibili per l’utente finale, lo espone a rischi reali e spesso sproporzionati.

* * *

Finisco, e scuserai la prolissità, col dire che qualora sia utile o perfino necessario avere documenti sempre disponibili, gli utenti debbono essere in grado di proteggerli a monte (indipendentemente dalle promesse del fornitore) con un’adeguata cifratura; che sarà pure una palla, ma è una necessità per esercitare il diritto a proprietà e possesso dei dati (e quindi all’identità) e che non a caso i governi spesso cercano di scardinare.

Infine i contenuti e servizi: streaming o ciaffi simili hanno tutti un problema grosso grosso: non solo il fornitore potrebbe bloccarti l’accesso a cose che hai pagato (Amazon con gli account Kindle, per esempio), ma più banalmente quei servizi potrebbero chiudere da un momento all’altro. E tu, utente, trovarti ad aver pagato una cosa che pouf non hai più. E ciaone. Tipo Nest che ha disattivato i termostati e chi li ha comprati ed installati non può più usarli, tipo Adobe che considera scaduto per sbaglio un abbonamento annuale, tipo Micrisoft con Office 365, ecc.
Educare a preferire sempre formati aperti, oggetti di proprietà, e copie locali; licenziati, legalmente detenuti, ma locali.
Perché il giorno che chiudi al massimo dev’essere un dispiacere, non una menomazione.

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